Connect with us

Hi, what are you looking for?

Grotte Santo Stefano

Benvenuti a Grotte Santo Stefano, Tuscialovers!

Una frazione del comune di Viterbo ma che ha una storia tusciosa e tutta da scoprire, Grotte Santo Stefano si trova a circa 16 km dal capoluogo, percorrendo la strada Teverina, verso la valle del Tevere.

Potete usufruire anche della omonima stazione della Ferrovia Viterbo-Attigliano.

>Lo sapevate che fino al 2 gennaio 1927 era un comune della provincia di Roma?

Fu solo con la riforma delle province attuata da Benito Mussolini, a partire dal 1928 che fu aggregata a Viterbo assieme ai territori di Bagnaia, San Martino al Cimino e in seguito (dal 1946, D.L.del Capo Provvisorio dello Stato 20 settembre 1946 n. 287) Roccalvecce.

All’epoca, a battagliare con Viterbo per l’elevazione al rango di Provincia c’era Civitavecchia che, però, perse l’opportunità, proprio perché Viterbo riuscì attraverso le aggregazioni di altri comuni ad elevare il proprio territorio e, conseguentemente, il numero degli abitanti.

Negli anni 1974 e 1985 gli abitanti di Grotte tentarono di ricostituire il Comune autonomo, ma i tentativi non ebbero gli esiti sperati.

Quindi, pur rimanendo a 16 km di distanza da Viterbo e contando una popolazione di quasi 3.800 abitanti, con origini e tradizioni diverse, Grotte Santo Stefano resta un “quartiere decentrato” di Viterbo.

Ma è ora di entrare nel dettaglio delle origini di Grotte Santo Stefano, che hanno inizio con la distruzione di Ferento del 1172 ad opera dei viterbesi e dei cellenesi che avevano paura della laboriosa città in quanto rivale poco gradita.

Viterbo riuscì ad incorporare nei propri possedimenti comunali l’intero territorio municipale della distrutta Ferento.

I Ferentani, sopravvissuti all’incursione notturno delle milizie viterbesi, riuscirono a scappare verso la valle del Tevere, nel vicino territorio controllato dall’autorità del Marchese di Montecalvello.

Così trovarono rifugio presso alcune grotte di origine etrusca, utilizzandole come abitazioni.

Le Grotte erano per la maggior parte ubicate a distanza dal preesistente borgo di Montecalvello e prossime al confine col territorio della nativa Ferento.

La forte autonomia feudale (molto simile a un’indipendenza sovrana) di cui godeva la Marca di Montecalvello, poteva garantire sicurezza ai Ferentani.

E così, con il passare degli anni, si compose una nuova comunità formata da contadini e da pastori, ai quali il Vescovo di Bagnoregio assegnò il sacerdote della parrocchia di Santo Stefano.

In tale parrocchia erano custodite, sin dal 1202, le maggiori ricchezze, sia materiali che spirituali, appartenute alle chiese ferentane, dedicate a San Gemini e San Bonifacio.

Vicino alla zona delle antiche grotte, venne eretta una piccola edicola in onore del Santo ed esattamente da qui proviene il nome di Grotte di Santo Stefano.

L’amministrazione civile della popolazione così formatasi fu assoggettata alla diretta egemonia del Marchese di Montecalvello.

Dopo la crescita del paese arrivò il momento, per i cittadini grottani, di manifestare alle autorità ecclesiali il desiderio di avere un Santo Patrono proprio.

Ottennero dal Vaticano, per mezzo della Diocesi di Bagnoregio, le ossa di un martire cristiano al quale era stato dato il nome di Venerando (da “ossa venerande” o da venerare).

>Habemus santo, vien da esclamare!

San Venerando, infatti, è patrono di Grotte Santo Stefano e si festeggia nella prima domenica di settembre.

Il compatrono Santo Stefano si festeggia, invece, il 26 dicembre.

L’autorità del Feudo delle famiglie signore di Montecalvello, Calvelli, Monaldeschi, Raimondi e dal 1654 Pamphili era mitigata però dall’esistenza del Comune medievale pontificio di Montecalvello, di cui è noto lo Statuto del 1532.

Tuttavia, ciò non veniva applicato alla popolazione di Grotte S. Stefano, perché soggetta al potere diretto del Marchese.

Fu Napoleone I, nel 1809, ad attribuire alla comunità grottana l’autonomia amministrativa.

Inoltre, Napoleone I e le sue armate realizzarono l’annessione del Lazio al Primo Impero francese per alcuni anni, fino al Congresso di Vienna del 1815.

Lo stato francese decise di trasferire il Comune da Montecalvello alla sua ex-frazione di Grotte S. Stefano.

Questo è dovuto, molto probabilmente, a due fattori: il piccolo castello aveva ormai raggiunto una popolazione notevolmente inferiore rispetto a quella della frazione originata dagli antichi Ferentani; la volontà del nuovo governo ‘straniero’ di manifestare alla popolazione locale il cambiamento politico e sociale dovuto all’arrivo delle nuove idee rivoluzionarie, opposte all’Ancien Régime rappresentato da nobili, castelli e da quello stesso diritto feudale da cui il Comune di Montecalvello aveva tratto origine.

Una rivoluzione tusciosa pare, amici Tuscialovers, anche se non completamente al gusto di Tuscia poiché Grotte S. Stefano era comunque un Comune francese.

Fu così che Grotte Santo Stefano si sostituì a quello più antico di Montecalvello, ereditandone territorio, popolazione e diritti d’uso civico sul territorio del Feudo.

Le nuove idee della Rivoluzione francese facevano definitivamente assurgere il Comune ad amministratore civile del territorio, togliendone le competenze al feudo.

Viva la libertà starete esclamando tra voi, Tuscialovers!

Lo status di Comune autonomo di Grotte Santo Stefano sopravvisse alla fine dell’epoca napoleonica ed alla Restaurazione del potere pontificio.

Infine, annesso all’Italia unita nel 1870, durò fino al 1928, quando venne soppresso e aggregato in parte al Comune di Viterbo, in parte (zona a Nord del Torrente Rigo) a quello di Graffignano (Regio Decreto n. 866 del 9 aprile 1928, pubblicato in G.U. n. 105 del 4 maggio 1928).

Il territorio della Marca di Montecalvello, feudo Doria-Pamphili (territorio amministrativo che coincideva con quello poi divenuto comunale) fu riconosciuto essere gravato di diritti d’uso civico a favore dei residenti nel territorio del feudo da papa Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili) quale Sovrano dello Stato Pontificio, fin dal 14 gennaio 1647, ai tempi di Donna Olimpia Maidalchini.

Riconoscimento fondamentale questo, perché tali diritti erano infatti implicitamente regolamentati in vari articoli dello Statuto del Comune medievale pontificio di Montecalvello del 1532, ma sono giuridicamente validi solo se hanno ricevuto la sovrana approvazione.

Ma è ora di arrivare al recente passato, Tuscialovers: negli ultimi decenni la cittadinanza di Grotte Santo Stefano ha avanzato più volte la richiesta di ricostituire il comune autonomo (status perso nel corso dei secoli per varie vicissitudini), lamentando uno scarso interesse del Comune di Viterbo nei confronti della frazione.

Tali richieste non hanno avuto esito, per buona pace degli abitanti di Grotte.

Una pillola tusciosa di curiosità è in arrivo per voi!

Lo sapevate che a Grotte Santo Stefano, per alcuni anni, ha vissuto anche il famosissimo poeta romano Carlo Alberto Salustri, più conosciuto come il Trilussa?

il poeta si era trasferito nel piccolo centro per inseguire il suo grande amore, una giovane attrice figlia di una cittadina grottana.

Infatti, quando questa da Roma tornò al paese di origine, lui la seguì ma, dopo aver capito che lei non avrebbe mai ricambiato il suo amore, il poeta tornò triste e sconsolato a Roma.

L’importanza di Grotte Santo Stefano accresce tra il 1926 ed il 1929, quando in veste di sorvegliato speciale e farmacista, Pietro Farini, uno dei padri del socialismo italiano, vi ci si trasferì.

Nel dattiloscritto autobiografico “In marcia con i lavoratori”, custodito presso l’Istituto Gramsci di Roma, Farini parla del suo soggiorno a Grotte Santo Stefano.

Nel suo libro Pietro Farini ci racconta del giorno in cui alcuni impiegati del Comune di Viterbo arrivarono in paese per togliere dalla facciata del Palazzo Comunale di Grotte Santo Stefano lo stemma e portare via quanto si trovasse dai locali, accompagnati da un forte dispiegamento delle forze dell’ordine.

Farini, da vero grottano, prende parte alle proteste in difesa dei suoi concittadini.

Ora facciamo un salto negli anni ‘60. Il 27 luglio del 1966, in località Poggio del gallo, a Grotte Santo Stefano, viene fatta una tusciosissima scoperta archeologica: lungo il corso del “Fosso Campanile”, in una zona ricca di farine fossili, venne rinvenuto lo scheletro di un animale preistorico perfettamente conservato.

Si tratta di un Elephas antiquus ed il prof. Ambrosetti, dell’Istituto Paleontologico di Roma, lo fa risalire al periodo Quaternario.

Roba da non credere, amici Tuscialovers!

Dopo la completa estrazione dal suolo lo scheletro è stato ricomposto presso lo stesso istituto a Roma, dove è tuttora visibile.

Dovete andarci assolutamente! E le scoperte non finiscono qui: sono venuti alla luce altri reperti, tra i quali le zanne di un elefante preistorico, conservate ed esposte al museo di Valentano.


Monumenti e luoghi d’interesse

Se Grotte Santo Stefano dovete venire allora non potete perdervi le attrazioni di cui vi stiamo parlando. Iniziamo con il primo piano del palazzetto che fu la sede del comune di Grotte Santo Stefano, che è la sede di un piccolo museo di Petrografia e Mineralogia, voluto da Padre Felice Rossetti (francescano nativo di Grotte S. Stefano).

In questo piccolo museo, gestito dall’associazione culturale Ecomuseo della Tuscia di Grotte S. Stefano, oltre agli innumerevoli campioni di pietre e minerali provenienti da molte parti del mondo, sono raccolte anche quelle squisitamente del territorio circostante e collegate alle attività estrattive che a Grotte S. Stefano hanno rappresentato, e per materiali come il tufo e la breccia, rappresentano ancora un settore economico importante.

Altro che cercatori di oro, Tuscialovers!

Ancora, all’interno del piccolo museo c’è una pinacoteca nella quale sono esposti alcuni antichi oggetti, recuperati e restaurati dai volontari, che fanno parte della storia del paese.

Come ben sapete se avete letto le righe sopra, a Grotte Santo Stefano vanno forte i reperti preistorici, tanto che sono presenti una serie di fossili risalenti a milioni di anni fa, rinvenuti in tutto il mondo e inviati a Padre Felice per il piccolo museo.

Nella chiesa dedicata a Santo Stefano, in piazza dell’Unità, sono conservate le ossa del patrono San Venerando, le quali sono state riposte nel 1710 all’interno di un’urna di legno intagliato, donata nello stesso anno alla parrocchia, da Don Angelo Golini di Vitorchiano.

Un’altra attrazione tusciosa si trova nella piccola chiesa della Madonna delle Grazie dove è conservato un affresco raffigurante la Madonna col Bambino risalente al XIII secolo.

Ma le particolarità interessanti non finiscono qui: nel rione di Magugnano, in una piccola via vicino alla piazza, sono presenti i resti di una piccola fortificazione caratterizzata da alcuni archi rimasti praticamente intatti fin dal XIII secolo.

Questa fortificazione aveva una funzione ben precisa: un’umile guarnigione viterbese poteva controllare eventuali movimenti che potevano provenire dal vicino castello di Montecalvello, sfruttando la torretta posta sopra i due archi in mattoni che introducevano al piccolo borgo.

Altra curiosità da segnalare, Tuscialovers.

Il rione di Magugnano faceva parte del comune di Viterbo fin dal 1172, anno della distruzione di Ferento, mentre Montecalvello era, nella prima metà del Duecento, proprietà del ghibellino Alessandro Calvelli.

Il feudo di Magugnano, nel territorio di Ferento, venne poi totalmente incorporato nel 1174 al territorio di Viterbo, quando Cristiano, Arcivescovo di Magonza, si premurò di assicurare la non riedificazione di Ferento, riassegnando il territorio di quest’ultima al contado di Viterbo.

Divenuta una delle Bandite Comunali, a Magugnano non sorse mai un vero castello (diversamente da quanto avvenne nelle limitrofe Celleno, Roccalvecce, Graffignano, Sipicciano, Vitorchiano) sia perché con la caduta di Ferento aveva perso la propria autonomia feudale, ma anche perché era immediatamente prossimo a Grotte ed a Vallebona (abitati del feudo di Montecalvello).

Un castello sarebbe stato utile in quanto poteva costituire una potente fortificazione militare in favore dei viterbesi.

A maggior ragione in un periodo in cui, con la Signoria dei Gatti a Viterbo, si ha menzione di frequenti ostilità con i Monaldeschi vassalli di Roccalvecce e Montecalvello.

Questa rivalità culminò alla fine del XV secolo in una vera battaglia presso Montecalvello fra Gatteschi e Maganzesi.

Traccia di questi conflitti rimangono nelle iscrizioni presenti nella Chiesa di San Rocco in Montecalvello.

Ma è ora di continuare il nostro viaggio nelle bellezze di Grotte.

Seguiteci perché scendendo per la via sotto la chiesa della Madonna del Traforo si possono ancora vedere le grotte di origine etrusca che furono abitate dai Ferentani, prima, sfuggiti alla distruzione della loro città e dopo dai loro discendenti, in alcuni casi fino ai primi decenni del Novecento!

Potete trovare altre di queste grotte nella parte bassa del rione Centarello (da Centrarello) dove era stata edificata la prima edicola a Santo Stefano.

Da questa edicola originò, in seguito, la costruzione della piccola chiesa dedicata alla Madonna della buona morte.

Queste antichissime grotte hanno avuto varie funzioni: dalle stalle ai ricoveri per animali domestici e, inoltre, vengono utilizzate come piccoli magazzini.

Inoltre, i suggestivi presepi viventi allestiti in passato, durante le festività natalizie, dall’associazione G.P.A.L. (gruppo promotore attività locali) proprio in queste antiche grotte ci raccontano di eventi tusciosissimi.

Pillole di storia tusciosa per voi: in località “Le Case” esiste un piccolo borgo nato presumibilmente verso la fine del Seicento; in località “Casone” un parte delle case furono costruite intorno a un convento di frati che per le sue dimensioni era ed è chiamato il casone.

Altri piccoli borghi si trovano in località “San Biagio, “La Torre, “Il Poggio”, “Il Bellagio”, “Poggio Crudo”, “Belvedere” (detto anche il Tigrè) ed “Il Centarello”.

Nelle zone rurali circostanti ci sono vari cippi funerari di origine etrusca.

Ma la chicca delle chicche, cari Tuscialovers, è la cosiddetta “Pietra dell’Anello” che si trova lungo la strada che unisce Grotte Santo Stefano al borgo di Roccalvecce.

Si tratta di uno spuntone di roccia calcarea sopra una collinetta, che ha da sempre suscitato la fantasia degli abitanti di Grotte, che hanno dato vita nel corso del tempo a numerose leggende tra cui la più famosa è quella della “Chioccia con le uova d’oro”.

In località “Santigiglio” (probabilmente da Sant’Egidio) si trova “Il buco della Fata”. Che cosa sarà mai?

Un tunnel con la volta a V rovesciata largo circa un metro e lungo circa cinquanta, che si inoltra nel sottosuolo.

Ci sono alcune teorie che sostengono che questo tunnel sia di origine etrusca vista la presenza nell’area circostante di numerose tombe.

A proposito di etruschi, occorre sottolineare che il paesaggio intorno a Grotte Santo Stefano presenta siti archeologici di origine etrusca, quali il castello medievale di Montecalvello e, a pochissimi chilometri, i resti dell’antica città di Ferento.

La scenografica Cascata dell’Infernaccio è raggiungibile a piedi lungo un interessante itinerario naturalistico.

Si consigliano delle trekkingate tusciosissime!

E’ doveroso dire che Grotte Santo Stefano è stata anche terra di briganti che utilizzavano la vicina macchia di Piantorena come luogo ideale per le loro scorribande.

E tra i briganti più famosi del territorio spicca il nome di Luigi Rufoloni detto “Rufolone” il quale, originario della vicina Sant’Angelo [a dirla tutta questa news è da confermare], si era trasferito proprio a Grotte Santo Stefano.

In località Vallecontina, tra Grotte Santo Stefano e Ferento, nei pressi del fiume Vezza c’è una solfatara di medie dimensioni dove i fanghi ribollono per effetto dei gas solforosi che risalgono dal sottosuolo; questo conferma le origini vulcaniche della zona.

Tra le sorgenti d’acqua che si possono trovare nel territorio e, data la presenza di molti minerali e in particolare quelli ferrosi, in molte di queste sorgenti sgorga acqua la famosa “acqua forte”, che si contraddistingue per il suo sapore particolare.

Le sorgenti non finiscono qui, Tuscialovers.

Una di queste si trova in località “Lo spicchione”.

Un’altra ancora, dove l’acqua è particolarmente ricca di ferro, dà il nome a tutta la zona che si chiama, appunto, località “Acqua Forte”.

Altra sorgente, detta “Acqua del conventino”, si trova in località “Il Conventino”, che prende il nome da un piccolo convento di epoca medievale del quale è ben visibile il rudere che è utilizzato come magazzino agricolo.

Altre sorgenti sono la fontana del “Tufo”, la fontana degli “Ammalati”, la fontana del “Frate” e la fontana della “Torre”.

Nella macchia di Piantorena, vicina a Grotte, potete visitare il parco archeologico del Santissimo Salvatore dove, oltre alla piccola chiesa omonima risalente al XV secolo, ci sono i resti di un antico convento, di una torre medievale che fungeva da guardia per il castello di Montecalvello e anche delle case ipogee utilizzate anche come nascondigli dai “briganti” di fine Ottocento.

Focus sulle tombe etrusche

Nelle campagne di Grotte Santo Stefano ci sono diversi siti di origine etrusca con tombe e cippi funerari, tra le quali dobbiamo annoverare la “Tomba Rossa”, sita in un terreno privato nel territorio di Vitorchiano.

Viene chiamata “Tomba Rossa” perché scavata nel tufo, caratterizzata, quindi, dalla colorazione rossa.

Purtroppo la tomba non è visitabile poiché riempita di terra quasi fino al soffitto.

Scendendo da Montecalvello verso il Tevere, si arriva alla Chiesa della Madonna dell’aiuto sede dell’antica fiera contadina a settembre.

Questa piccola chiesa è costruita secondo la tipica architettura delle chiese di campagna e, al suo interno, conserva gli ex voto che i fedeli donavano per grazia ricevuta.

Prende il nome dal fatto che durante un assalto subito da parte dei “briganti” una delle vittime si appellò all’aiuto della Madonna con la frase “Madunnina mia aggiutatice” (Madonnina mia aiutateci) e visto che si salvò, fece in modo di far edificare la piccola chiesa dedicandola, appunto, alla Madonna.

Per quanto riguarda lo stemma del Comune bisogna sottolineare una curiosa particolarità: stando ad alcuni scritti, sembrerebbe essere stato lo stesso che in passato fu di Donna Olimpia Maidalchini la quale, essendo la cognata del papa Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili), fu proprietaria del feudo di Montecalvello.

Lo stemma è rappresentato in una sala del palazzo dei Priori a Viterbo, accanto agli stemmi degli ex comuni di Bagnaia e San Martino.

Dai documenti dell’ultimo periodo dello Stato Pontificio lo stemma comunale recava invece la tiara papale. E’ probabile che lo stemma di Donna Olimpia è stato imposto in precedenza al Comune di Montecalvello e posteriormente ereditato dal più moderno Comune di Grotte; potrebbe essere stato ancora utilizzato nei primi anni dopo la sua istituzione del 1809.
E Doria Pamphili sia, Tuscialovers! Infatti, scendendo a sinistra della Chiesa in Piazza dell’Unità, si arriva davanti al palazzo Doria Pamphili (XVIII secolo). Si intuisce subito l’origine del palazzo perché sopra il portone principale è posto un fregio in peperino che riproduce lo stemma della famiglia. Il palazzo fu poi donato alle Suore del Preziosissimo Sangue, le quali lo usarono come convento e come scuola, fino agli inizi degli anni settanta. In questo periodo, dopo una raccolta di fondi tra la popolazione, ad acquistarlo fu la Parrocchia Santo Stefano.
Tradizioni popolari
Tra le tradizioni popolari ne abbiamo da vendere nella ridente Grotte Santo Stefano. A cominicare dall’epifania, che secondo la tradizione grottana vuole che la Befana, nella sera del 5 gennaio, passi a trovare tutti i bambini del paese così da capire se hanno il merito di ricevere i doni richiesti. Proprio per questo per le vie del paese, prende vita un piccolo corteo con tanto di banda musicale che accompagna la Befana a far visita a tutti i bambini del paese.
E arriviamo al carnevale, Tuscialovers! Tra le tradizioni popolari di Grotte Santo Stefano è interessante la maschera paesana che è chiamata “Bucèfere”, che dovrebbe richiamare Lucifero e che richiama i riti che accompagnavano la celebrazione dei Lupercalia romani. Pronti a spaventarvi? Il Bucèfere, nelle ultime rappresentazioni, vestito di nero e con il cappuccio, scortato da 40 “Carnevalotti”, sfilava il martedì grasso del carnevale, per le vie del paese dando scudisciate a coloro che incontrava nel suo percorso, fino ad arrivare in piazza per la lettura del suo testamento, con la quale raccontava pubblicamente i fatti e i misfatti, avvenuti in paese durante l’anno, e infine veniva dato alle fiamme per rappresentare la fine del carnevale. La manifestazione, dopo aver subito varie interruzioni e modifiche, viene portata avanti da una associazione culturale, composta principalmente da giovani grottani, denominata appunto “il Bucèfere”.
Primavera e festa dei lavoratori sia! Il primo giorno di maggio si festeggia la festa campestre del SS. Salvatore. Tutti gli anni la popolazione di Grotte Santo Stefano, si raduna al santuario del S.S. Salvatore nella vicina macchia di Piantorena. Una giornata ricca di funzioni religiose, pranzi con carne alla brace e buon vino. I festeggiamenti si protraggono fino a sera, conditi con giochi popolari e nella splendida cornice verde che circonda la piccola Chiesa rurale del posto.

Copyright © 2022 TusciaLove